"Jerusalem" di Selma Lagerlöf, il cristianesimo fra utopia e realtà


Di Selma Lagerlöf avevo già avuto occasione di parlare tempo fa: ricordate “Il Meraviglioso viaggio di Nils Holgersson”? (recensione su questo blog del 5 luglio 2018). 
Questa volta voglio presentare il suo “Jerusalem”, che acquistai al Salone del Libro a Torino un paio di anni fa, edizioni Iperborea. L’avevo messo lì da leggere e finalmente questo mese è arrivato il suo turno.
Sarà di aiuto alla comprensione del testo un breve richiamo al movente che mosse l’autrice a scriverlo: ossia il fenomeno del Millenarismo religioso che portò in Palestina, nella seconda metà del secolo XIX, gruppi religiosi provenienti dalle più svariate aree del mondo, principalmente dagli Stati Uniti, come tentativo di rigenerazione morale e materiale. 
In quegli anni cominciavano a manifestarsi in Europa e negli Stati Uniti importanti cambiamenti sociali che interferivano con i valori della vita tradizionale, fra questi i mutati ritmi di lavoro a loro volta connessi con lo sviluppo industriale di quegli anni.
Proprio verso la fine del secolo Theodore Herzl proponeva di far sorgere nei territori coloniali del mandato britannico della Palestina uno Stato ebraico: proprio quelle comunità religiose, di ebrei ma anche di cristiani in Palestina, gettarono le basi della cultura sionista che portò un secolo dopo alla nascita dello Stato di Israele.
Selma Lagerlöf, svedese, era affascinata dallo sviluppo delle comunità di Terra Santa, che mutatis mutandis ricordano tanto le comuni hippie della seconda metà del Novecento.
Lagerlöf visitò una di quelle comuni che ispirarono “Jerusalem”. Scrisse dunque il romanzo riallacciandosi a un’esperienza realmente avvenuta in un villaggio svedese di fine Ottocento.
Le vicende narrate ruotano attorno a una famiglia importante di un remoto villaggio della Dalecarnia in cui si crearono le condizioni per una migrazione di massa di intere famiglie in Terra Santa.
La Dalecarnia è una regione del centro della Svezia di vocazione agricola, a ridosso delle regioni del nord, il cui nome significa gente delle colline. Nel romanzo la famiglia Ingmarsson è proprietaria di una grande fattoria in cui per generazioni hanno trovato lavoro gli abitanti del villaggio, si sono create famiglie e si è sviluppata una società coesa nella quale più o meno tutti costituiscono nei fatti una grande famiglia allargata.
Ma in questa apparente oasi felice giunge un giorno un predicatore e da quel momento tensioni e rivalità hanno la meglio. Quello che accade viene descritto con il punto di vista di Ingmar, la terza generazione degli Ingmarsson. 
Egli si trova combattuto fra la fedeltà alla sua promessa nei confronti della donna amata, Gertrud, e il mantenimento del patrimonio famigliare, la sua principale ragione di vita. 
Assiste alla partenza di Gertrud e di buona parte del villaggio verso la Terra Santa dove gli agricoltori svedesi cercheranno di costruirsi una nuova esistenza pur fra mille difficoltà, ben descritte nella seconda parte del libro tutta dedicata alla vita a Gerusalemme.
Per Ingmar però non sarà la fine di tutto. Raggiungere a sua volta Gerusalemme allo scopo di riportare in patria Gertrud, sarà lo scopo che cercherà di realizzare, ma le cose avranno un esito non previsto. 
La Lagerlöf semina nel racconto episodi di vita e leggende sia della tradizione nordica che biblica che compongono un bel quadro di insieme. A un certo punto inserirà nella narrazione, verso il finale, risvolti magici che ben si adattano al contesto, conglomerandosi con l’insieme del romanzo che nonostante tutto mantiene una forte impronta realistica.
Il finale rimescolerà ancora una volta le carte in gioco.
Consiglio caldamente la lettura di “Jerusalem”, opera corale, dalla prosa moderna, se si tiene conto che l’autrice lo scrisse nel 1901. Uno di quei libri che lasciano il segno. 
 

=======. ESTRATTO. ==================

“Gerusalemme, Gerusalemme, tu ci ucciderai tutti! Dio ci ha abbandonati”.
La signora Gordon, che rientrava in quel momento, mandò Bo e Gabriel a scavare la fossa; Gertrud si chiuse nella cameretta che aveva diviso con l’amica, e vi rimase sola tutta la sera. Era in preda a un terrore altrettanto strano e invincibile del terrore degli spettri; le pareva che nuove sventure la minacciassero, e insieme mille dubbi l’assalivano.
“Perché Gesù ci ha fatti venire qui” pensava, “a rovina nostra e degli altri?” Invano combatteva la sua desolazione; non riusciva a pensare che alle vittime, senza colpa. Se Dio stesso aveva ordinato loro di partire – e in patria nessuno ne aveva dubitato – perché ne era scaturito tanto male? Aveva pensato di scrivere ai suoi genitori; ma cosa scrivere, come convincerli? Soltanto se fosse morta avrebbero creduto all’innocenza sua e dei compagni.

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