Sette papiri e una mezza delusione


Il secondo libro del primo dei due cicli egizi dello scrittore sudafricano di origini britanniche Wilbur Smith parrebbe il sequel del primo libro “Il Dio del fiume” ove si narrano le gesta dello scriba ed eunuco Taita, della bella regina Lostris, del faraone Mamose nonché di Tanus, amante segreto della regina.

E invece no. A parte i riferimenti ai personaggi, il libro è più uno spin off e si svolge interamente ai giorni nostri.

Del romanzo, pubblicato nel 1995, salvo il finale, diciamo le ultime cento pagine su 500 e passa, davvero avvincenti, in cui non mancano colpi di scena.

Ma Willbur Smith purtroppo ci regala talvolta anche passaggi non essenziali, che in questo libro abbondano: minuziose descrizioni, anche tecniche, hanno appesantito la lettura non di poco.

La vicenda riguarda la ricerca della tomba e del tesoro del faraone Mamose.

C’è una coppia di archeologi: l’inglese Nicholas Harper e l’anglo egiziana neo vedova e bellissima Royan Al Simma - immaginare come va a finire fra i due -  alle prese con un cattivissimo e ricchissimo e pervertito collezionista tedesco (ma va?) Von Schiller, desideroso di impadronirsi dei tesori del faraone. Costui mantiene una specie di esercito di corrotti che daranno filo da torcere ai nostri eroi aiutati addirittura da un gruppo di monaci copti che per l’occasione si trasformeranno in validissimi operai - poco probabile, no? Ma ce la beviamo - nella deviazione del corso di uno dei tanti rami del Nilo, operazione necessaria per raggiungere la tomba egregiamente nascosta dall’enigmatico Taita millenni prima.


Ovviamente il libro è farcito dei soliti discutibili luoghi comuni e stereotipi di Smith, che in genere gli perdoniamo solo perché ci regala storie avvincenti dalla prima all’ultima pagina, Non questa volta. 

Abbiamo l’eroico eroe British, il tedesco ovviamente cattivo dagli atteggiamenti nazi, i soliti giudizi sommari e stereotipati sulle varie etnie e sulle donne in genere. Insomma, complessivamente questo settimo papiro è una mezza delusione. 

Ma sono sicuro che molti mi smentiranno. 

Infatti, de gustibus non est disputandum.

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