Norwegian Wood ovvero delle ancestrali pulsioni fra Eros e Thanatos



Il lieto fine sta nel fatto che non tutti i personaggi muoiono e infatti Norwegian wood non è certo un romanzo di evasione, tutt’altro. Anche se sembra che per tutte le 360 e passa pagine non accada nulla, in realtà succedono cose straordinarie, si tratta di un intreccio evolutivo di situazioni in trasformazione e spesso degeneranti. Il big bang è costituito da un flashback che apre il romanzo e trascina il lettore fino all’ultima parola. Il contesto principale è la fase finale della realtà adolescenziale del protagonista (?) alle prese fra studi universitari e relazioni erotico sentimentali con un universo femminile sorprendente e tragico.
Ma perché scrivo protagonista con il punto interrogativo? Forse che l’io narrante  Tōru Watanabe debba per forza essere “il” protagonista? In realtà la vera protagonista è lei, Naoko, dea triste e sconvolta, vittima di una sorta di divino straniamento che trascina se stessa e in parte Watanabe in una dimensione di irrealtà psichica e fisica.
La relazione fra Watanabe e Naoko è al centro della vicenda, senza Naoko tutto questo non sarebbe esistito, eppure nello spazio-mente di Watanabe si insinuano altre figure femminili, come Reiko o come la imprevedibile, esagerata, fanatica di film porno, ma alla fine normalizzante Medori, che lo attraggono in un vortice dai gorghi sempre più intensi. E queste intensità trovano compimento attraverso diverse modalità: i dialoghi realistici, il cibo, i pensieri e la psicologia dei personaggi, l’erotismo spinto, condito da una doverosa parentesi lesbo,  giusto per non farci mancare nulla, che si esprime in una interessante varietà di pratiche sessuali, forse tipica dei teenagers terminali giapponesi di quel periodo, il che spiega anche come mai il romanzo, uscito nel 1987, sia riuscito a vendere oltre tre milioni e mezzo di copie.
Non siamo dunque di fronte a un romanzo facilmente etichettabile, per certi versi chi ama le storie d’amore psicologicamente complicate lo potrà apprezzare soprattutto all’inizio; e quando la complicazione travalica, chi fosse attratto dal mistero della follia umana apprezzerà certamente le pagine ambientate nella clinica un po’ manicomio un po’ comune per ricchi, semi irraggiungibile sulle montagne del Giappone. E anche qui l’autore ci sorprende proponendo un Giappone non certo totalmente ancorato alle tradizioni, seppure indiscutibilmente diverso dal mondo occidentale; infatti il contesto secondario è quello del Sessantotto che  benché tracciato a distanza di sicurezza dai protagonisti, sottolinea un insieme di comportamenti giovanili del tutto simili a quelli dei giovani europei. Non per niente, accanto agli afflati rivoluzionari verso i quali Watanabe appare poco interessato, come in un altra grande opera di Murakami, penso a 1Q84, e immagino anche in altri che leggerò, anche in questo aleggia una particolare colonna sonora, fatta di Beatles e rock fine anni sessanta, da cui il romanzo trae il titolo.
Ultima nota doverosa e come si suol dire non certo la meno importante: Murakami dedica il suo romanzo ai vivi e ai morti, che in questa storia non mancano, purtroppo, grazie alla pratica endemica del suicidio per impiccagione, che pare essere la modalità con il più alto tasso di successo. Espediente letterario? Non solo,  il fatto che Murakami non nasconda un palese intento autobiografico deve fare pensare. Ancora oggi il suicidio è la prima causa di morte tra i giovani giapponesi compresi nella fascia d’età tra i 15 ed i 24 anni. Si tratta di un “record”, se così vogliamo chiamarlo, assoluto fra tutti i paesi del mondo industrializzato. Una cosa, il suicidio, che induce alla riflessione e che nelle pagine di questo Norwegian wood non poteva non emergere addirittura serenamente come una, se non la sola, fra le tante possibili soluzioni al disagio esistenziale: perché fra la vita e la morte, sembra dirci l’autore, la barriera non è così invalicabile, nonostante la sua inesplicabilità.
Suggerimenti finali: leggere con cautela, saltare a piè pari l’introduzione, semmai leggerla alla fine, l’apprezzerete di più; armarsi di matita per sottolineature e appunti, meglio quindi l’edizione e-book che consente di raccogliere più agevolmente note ed evidenziature. Se dopo aver letto questa recensione vi sentite un po’ depressi forse è meglio lasciar perdere, o forse no, chissà…

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