Italia, le mie critiche velate


Quando si parla di Italia e di italiani è arduo sottrarsi al luogo comune, nel bene e nel male: sembra che l’argomento non sia affrontabile privi di quella carica emotiva che accompagna qualsiasi considerazione sull’argomento, luoghi comuni che in questo scritto, promesso lo scorso agosto all’amico Giampiero, mi guarderò bene dal riproporre.
La promessa era di rappresentare alcune critiche all’Italia, obiettivo sproporzionatamente ambizioso, me ne rendo conto, pari soltanto alla modalità così soavemente e spudoratamente semplicistica dell’enunciato.
A complicare la cosa si aggiunge la regola di ingaggio per la quale le critiche sarebbero dovute apparire “velate”, come a dire, vedo e non vedo, critiche sì, ma non ferocemente rappresentate; cose, per dirla in gergo letterario, più simili ad un ossimoro: può infatti un italiano che critica il proprio paese d’origine riuscire a formalizzare critiche prive di quella tanto pittoresca e mediterranea sguaiatezza? Come si vede la difficoltà del mandato è d’una complessità notevole. Qui si intende criticare un paese come l’Italia come potrebbe fare un cittadino del Liechtenstein nei confronti del proprio arcigno Granducato!
Procediamo dunque con ordine immaginando di spogliare l’immagine della nazione dei primi tre veli, proprio quelli a fior di pelle, per intenderci, sui quali si sovrappongono gli altri indumenti.

Primo velo: il paese inconsapevole

Il primo velo è rappresentato dalla scarsa consapevolezza del popolo italiano di dover essere necessariamente tale. Trae origine dalla nascita di questo scampolo corrente di Stato nazionale. L’Italia post bellica ha operato una cesura con la storia precedente del paese che aveva raggiunto un’indipendenza già a suo modo tardiva. La parentesi dello stato risorgimentale termina con la parentesi fascista la quale termina a sua volta definitivamente con il 25 aprile 1945. Queste le date storiche, tuttavia sappiamo che fra il 1943 e il 1947 l’Italia ha vissuto una fase di guerra civile strisciante, mai del tutto sopita , benché oggigiorno combattuta con altre modalità meno cruente. Questa situazione ha comportato un’ardua condivisione di visioni e interessi in una popolazione già più orientata alla valorizzazione del proprio particolare, la piccola comunità, la famiglia, rispetto alla convinzione di giocare un ruolo importante fra le altre nazioni e popoli. Manca in altre parole la dimensione del continuum temporale, il senso di appartenere ad un patrimonio di fatti che si sviluppano a partire dalle prime guerre di indipendenza ai giorni nostri. Si tratta di una dimensione educativa carente: la mancanza di sintesi storica genera sbandamento nell’interpretazione della realtà contingente e, in definitiva, una assai scarsa certezza del valore delle presenti istituzioni democratiche quali esse sono andate a delinearsi negli anni.

Secondo velo: l’individuo fa la differenza

Questo velo è alquanto atipico. Consiste nel non saper valorizzare la propria diversità rispetto al dissimile. L’italiano il più delle volte si considera diverso dai propri connazionali considerati meno evoluti, meno retti, meno onesti, ecc. ecc. Questa caratteristica è oltremodo amplificata quando ci si confronta con altre nazionalità. Ho osservato più volte come l’italiano all’estero, nel tentativo di apparire diverso e ben considerato agli occhi dello straniero, amplifichi le critiche nei confronti del proprio paese e dei connazionali. Questo atteggiamento produce in chi ascolta non tanto una maggiore stima nei riguardi della persona che tenta di differenziarsi quanto piuttosto un sentimento di commiserazione e di effettivo disinteresse. La percezione che, dall’estero, dell’Italia e degli italiani ancora si raccoglie è quella di un paese positivo: rapporti interpersonali solidali, buon cibo, un clima atmosferico accogliente, attrazioni artistiche e architettoniche. L’italiano medio, quanto più ha a che fare con l’estero, tanto più dimentica l’importanza di rappresentare le proprie peculiarità e, nell’anelito di apparire simile al paese straniero di cui di volta in volta è ospite, dimentica le proprie caratteristiche e se ne cruccia. Questo vero e proprio handicap inoltre diventa assai limitante nei confronti dello straniero migrante quando si tratta di mettere in moto meccanismi efficaci di accoglienza. Il non avere una chiara percezione di sé genera una confusa percezione da parte dello straniero del nuovo sistema di valori di riferimento, spesso causa di comportamenti anomali quanto non voluti.

Terzo velo – sindrome autodepressiva

Soprattutto negli ultime decenni la psicologia del Paese è mutata: le persone sembrano avvilupparsi  lungo una spirale di pessimismo sempre più ben radicato. Si avverte fra la gente una mancanza di gioia, entusiasmo e volontà di migliorare. Questo pensare comune si autoalimenta e auto perpetua, non è un problema di classe dirigente, quanto un problema della popolazione. Ne consegue che gli italiani non si riproducono come una volta, le nascite calano e aumenta il numero dei vecchi in circolazione. Il modo di pensare diventa vecchio, ancorato su cliché antiquati, trentennali o addirittura quarantennali; si diventa incapaci di osare in quanto il nuovo o è poco rassicurante o ideologicamente non sperimentato, ma soprattutto non è a prova di ortodossia e dunque eretico.  Potremmo osservare che uno spirito diabolico stia succhiando la voglia di vivere. Questo sentimento viene spiegato con la mancanza di efficienza o con la corruzione o con l’incapacità di governo; nella realtà la spirale avvolge tutti a qualsiasi livello e, più che l’effetto, costituisce la causa di molti mali, assai meno velati, che affliggono la società italiana fra i quali, molto importante, la propensione a stroncare sul nascere ogni nuova iniziativa.

***
Ecco dunque sollevati tre veli importanti, sedimentatisi negli anni. Essi riguardano non tanto la politica, le istituzioni, il governo, quanto piuttosto il comportamento e il pensiero dei singoli individui, già a partire dalle giovani età: Questi veli sarebbero da passare in lavatrice e questo sarebbe il primo passo verso il rinnovamento totale del guardaroba e forse del mobilio completo. Ogni tanto fare le pulizie di casa, buttare al macero le cose vecchie e irrecuperabili, aiuta a ragionare meglio e affrontare con spirito costruttivo con maggiore energia le nuove sfide dell’esistenza; ed è sempre meglio  farlo da soli che affidare l’ingrato compito ad una/un improbabile “governante” di turno.

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