La Recherche | Intervista impossibile con Albertine Simonet
Conclusa la lettura di questa opera ciclopica, adesso che conosco il contenuto dei sette romanzi che la compongono, sarei quasi a dire che sarebbe il caso di rileggerla.
Tantissimi i personaggi, i riferimenti storici della Francia della Terza Repubblica e il contesto sociale aristocratico e alto borghese parigino di un periodo storico poco conosciuto in Italia, dall’affare Dreyfus alla Prima guerra mondiale.
La narrazione di Proust ci presenta un giovane sé stesso, personalità dalla forte propensione alle pulsioni ossessive. La prima, quella del bacio della buonanotte della mamma, con la quale si aprono le prime pagine. Marcel ormai undicenne ce la descrive per filo e per segno quale antipasto delle successive ossessioni: l’attaccamento morboso alla nonna, l’omosessualità, la sua abnorme attrazione al mondo della aristocrazia che considera popolata da personaggi per lui inarrivabili simili a divinità, e quella delle “fanciulle in fiore”.
Ma è soprattutto l’insieme delle convenzioni sociali della mondanità fin de siècle a costituire il focus principale del narratore proustiano, il quale alterna alle minuziose descrizioni di ricevimenti, quelle dei piatti di portata, profumi, l’abbigliamento dei personaggi, le interpretazioni, i pensieri, i detti e non detti, in tale misura da sfiorare la noia. Ma vi sono anche osservazioni più leggere, quasi da gossip, nelle quali si può intravedere talvolta una vena umoristica di cui Proust è innegabilmente dotato, anche se forse a sua insaputa.
La Recherche è infatti un continuo susseguirsi di ricevimenti, pranzi, cene, matinée ai quali Marcel partecipa come in estasi e poi a poco a poco sempre più consapevole del proprio charme. Proust ci conduce - noi indegni lettori - al cospetto di insigni personaggi dei più ricercati salotti parigini, ovvero attori di un affresco in movimento che Proust descrive con una profondità al di fuori di ogni immaginazione, il cui divenire è scandito dal progredire del Tempo.
La Recherche è un romanzo ciclico, in pratica comincia là dove finisce. Se la famosa madeleine è la causa scatenante del ricordo, la scena descritta ne Il tempo ritrovato nella quale Marcel in attesa nella biblioteca dei Guermantes prima di essere ammesso alla matinée, costituisce l’aggancio con il quale l’autore, cioè sempre lui Proust, decide nella finzione narrativa di por mano alla scrittura dell’insieme delle duemilatrecento e passa pagine che a quel punto del libro il lettore ha praticamente già letto quasi per intero. E si tratta di un punto davvero notevole che svela forse una fra le più importanti cause scatenanti dell’indole di Marcel, l’attaccamento alla madre con il conseguente e famigerato bacio della buonanotte. Marcel estrae dalla biblioteca dei Guermantes proprio una copia de François le Champi, romanzetto campestre di George Sand nel quale si narra la vicenda di un bimbo orfano accolto dalla moglie di un mugnaio che lo educherà come un figlio fino a quando François, molti anni dopo, si innamorerà di lei instaurando una relazione romantica. Ebbene, tale libro veniva letto dalla madre del piccolo Marcel prima di addormentarsi e questo a mio avviso spiega parecchio del carattere di Marcel.
Ma ecco vedo avvicinarsi Albertine, l’amore impossibile di Marcel. Chissà cosa avrà da raccontarci.
- Buongiorno Albertine, come va?
- Come vuole che vada, non posso certo dire di sentirmi a cavallo…
- Uh, mi congratulo col suo sense of humour… mi scusi, ma sto qui su questo blog dedicato ai libri, e volevo far capire, fra una chiacchiera e l’altra, ai lettori il punto di vista di un personaggio importante come lei.
Sa, ho letto tutto, proprio tutto, del suo amante segreto. Avrebbe voglia di parlarne?
- Amante segreto? In effetti per tutti ero sua cugina, comunque, che cosa vuole sapere?
- Che tipo era Marcel? In definitiva, forse è proprio lei la persona che lo conosce meglio.
- Ah sì, ci credo. Un genio incompreso, ossessionato da ogni singola piega delle sue lenzuola e da ogni battito del suo cuoricino. Mi ricordo quando mi parlava delle notti insonni passate a rimuginare sul sapore di una madeleine inzuppata nel tè. Un vero dramma, ve lo assicuro! E poi le sue analisi psicologiche, lunghe e tortuose come un labirinto senza uscita. Mi spiegava, con aria da oracolo, i meccanismi più reconditi della mia anima, come se io fossi un esperimento scientifico. Ma non solo. Marcel era un vero e proprio maestro del vittimismo. Si piangeva addosso per ogni piccola delusione, per ogni sguardo che non lo sfiorava. E poi l'alta società, la sua ossessione! Sognava di frequentare i salotti parigini, di diventare uno di loro, di essere ammirato e invidiato. Peccato che, una volta realizzato il suo sogno, si accorgesse che quel mondo era vuoto e frivolo come una bolla di sapone. Ma lui, testardo com'era, continuava a illudersi, a cercare in ogni volto un riflesso della sua vanità. E io, povera ingenua, mi sono ritrovata coinvolta nelle sue ossessioni, nella sua ricerca disperata del tempo perduto. Un tempo che, a dire il vero, non mi sembrava poi così prezioso. Ma chi sono io per giudicare un genio? Dopotutto, un uomo che piange per una madeleine merita tutto il rispetto del mondo.
- Me lo sta descrivendo in un modo quasi sprezzante questo povero Marcel.
- Ma per favore! Marcel era un maestro nell'arte dell'inventare problemi dove non ce n'erano. Basava le sue convinzioni su ben poco, in realtà. Qualche battuta fra me e le mie amiche, qualche sguardo scambiato di troppo, e subito la sua immaginazione correva a mille. Era come un detective alla ricerca di indizi, pronto a trasformare ogni innocente gesto in una prova inconfutabile della mia colpevolezza.
- Suvvia, ci racconti un aneddoto.
- Ricordo una volta che stavo leggendo un libro di poesie. Niente di particolare, solo qualche verso sull'amicizia tra donne. Lui, però, ci ha visto un'intera trama lesbica, un'orgia di passioni nascoste. E poi le mie amicizie femminili, naturalmente. Ogni ragazza con cui mi vedevo diventava automaticamente una mia amante. Era ridicolo! Ma a lui piaceva così tanto drammatizzare tutto, che alla fine ho smesso di dargli retta.
- Continui, non si preoccupi di affrontare qualche argomento scabroso, qui noi non ci formalizziamo.
- Temevo, grazie, Ma sa qual è la verità? Che a Marcel non importava granché della mia sessualità. Era semplicemente geloso. Geloso di ogni momento che non passavo con lui, di ogni sguardo che non era rivolto a lui. Il mio presunto lesbismo era solo un pretesto per tenermi legata, per giustificare la sua possessività.
- Marcel non la tenne legata solo in senso metaforico, ci parli della prigionia a casa sua.
- Io prigioniera? Ma per favore! Marcel era un maestro nel trasformare una semplice villa in una prigione dorata. Mi teneva d'occhio, certo, ma più per la sua insicurezza che per un vero desiderio di limitare la mia libertà. Voleva avere sempre la certezza che fossi lì, a portata di mano, pronta a soddisfare i suoi bisogni.
- Ma in definitiva lei ne era innamorata?
- Era come un bambino capriccioso che ha paura di essere abbandonato. Mi faceva mille domande, voleva sapere ogni dettaglio delle mie giornate, delle mie amicizie. E se per caso mi allontanavo, anche solo per fare una passeggiata, si agitava come una foca fuori dall'acqua. Era ridicolo! Ma a lui piaceva così tanto recitare la parte del geloso ossessionato, che alla fine ho finito per crederci anch'io. In fondo, ero solo un personaggio della sua grande commedia, una pedina nel suo gioco perverso. E io, ingenua come ero, ho finito per recitare la parte che mi aveva assegnato. Ma non illudetevi, non ero affatto innamorata di lui. Era solo una questione di noia, di mancanza di alternative. E poi, diciamocelo pure, vivere in una villa sontuosa servita e riverita non è poi così male.
- Ora mi sembra un po’ annoiata, non sarà stata gelosa pure lei?
- Ma certo che no! Marcel era un vero e proprio campione del monologo interiore. Passava ore a raccontarmi delle sue passate conquiste, di amori platonici e di delusioni sentimentali. Era come ascoltare un romanzo a puntate, sempre più lungo e sempre più noioso.
Mi descriveva in dettaglio ogni sguardo, ogni parola scambiata, ogni gesto che aveva interpretato come un invito. Era ossessionato dai dettagli, come se volesse ricostruire ogni momento della sua vita amorosa fino all'ultimo particolare. E poi le sue analisi psicologiche! Mi spiegava i motivi delle sue scelte, i desideri più profondi, come se fosse un saggio di psicologia. Ma a me, francamente, sembrava più un narcisista che un amante.
Albertine fa una pausa, poi continua con un tono ironico.
"E pensare che io ero lì, seduta davanti a lui, a fare da pubblico al suo spettacolo. A volte mi sentivo come un oggetto, più che una persona. Un oggetto da studiare, da analizzare, da possedere. Ma a lui non importava, l'importante era che io lo ascoltassi, che lo ammirassi. Era un egoista sfrenato, Marcel. E io, povera ingenua, ho passato anni della mia vita a cercare di soddisfare la sua vanità."
- E che idea si è fatta di Gilberte?
- "Ah, Gilberte! Ahah… mi perdoni, mi viene da ridere. La sua musa, la figlia di Swann e Odette, la sua prima ossessione. Ne ho sentito parlare a lungo. Mi raccontava di lei come se fosse stata l'unica donna al mondo, la più bella, la più intelligente, la più inaccessibile. Un vero e proprio idolo, insomma.
Mi descriveva i loro incontri, le loro conversazioni, i suoi sguardi. Era come se vivesse ancora nel passato, incapace di staccarsi da quel primo amore. E io, povera ingenua, ascoltavo le sue litanie con un misto di noia e di irritazione. Ma lui, testardo com'era, continuava a parlarmi di lei, come se la nostra storia d'amore fosse solo una pallida copia della sua prima passione.
A volte mi chiedevo se mi avesse scelta solo perché assomigliavo un po' a Gilberte, nel modo di parlare, nel modo di muovermi. Ma poi mi rendevo conto che era un'idea assurda. Marcel era un egocentrico, per lui contava solo il suo punto di vista, la sua visione delle cose. Le altre persone erano solo dei personaggi della sua grande commedia, delle pedine da spostare a suo piacimento.
Non si divertiva quando la portava ai ricevimenti?
Assolutamente no! Chi se ne frega dei ricevimenti! Sono tutti uguali, no? Un mare di facce annoiate, pettegolezzi inutili e vestiti scomodi. E poi quell'aria snob e altezzosa... Fa venire voglia di scappare.
Ma tu sai che c'è? (Albertine passa improvvisamente alla forma confidenziale) io, a quei ricevimenti, ci andavo più che altro per noia. Non avevo niente di meglio da fare, quindi mi lasciavo trascinare da Marcel. E poi, diciamocelo pure, un po' di mondanità non guasta mai. Magari incontri qualche viso nuovo, qualche conversazione interessante. Ma non farti illusioni, di solito erano tutte chiacchiere da salotto, niente di veramente profondo.
E a te, piacciono i ricevimenti? O preferisci qualcosa di più tranquillo, come una passeggiata al parco o una buona lettura?
- Ma per carità detesto i ricevimenti, preferisco i libri e le serie tv
- Serie tv? Non capisco.
- Lascia perdere, ai tuoi tempi non ce n’erano, ma sarebbe come assistere a uno spettacolo che in certi casi assomiglia alla vostra vita. A proposito, Marcel non ti ha mai portata a teatro?
- Ma certo! Come dimenticare la serata di Fedra? Marcel era talmente eccitato all'idea di vederla che sembrava un bambino la Vigilia di Natale. Mi aveva parlato di quell'attrice, la Berma, per settimane, mi aveva descritto la sua bellezza, il suo talento, la sua voce... Insomma, ne era completamente ossessionato. Durante lo spettacolo, non ha fatto altro che fissarla, come ipnotizzato. E poi, alla fine, il suo giudizio impietoso: 'Troppo teatrale', 'Manca di spontaneità', 'Non è più la stessa di una volta'. Insomma, l'aveva demolita in pochi secondi.
Mi sono sempre chiesta se fosse geloso della sua fama, della sua bellezza, o semplicemente se avesse bisogno di trovare dei difetti in tutto e in tutti. Ma a lui non importava cosa pensassi io, l'importante era che avesse espresso il suo parere, che avesse dimostrato di essere superiore a tutti gli altri.
Marcel era così... Un critico implacabile, sempre pronto a smontare qualsiasi cosa non fosse all'altezza dei suoi standard. Ma la cosa più triste è che, alla fine, finiva sempre per stancarsi di tutto e di tutti. Anche di me, ovviamente."
- Alla fine, fortunatamente sei poi riuscita a fuggire dalla Marcel
- Fuggire da Marcel... Beh, la verità è che non c'è stata una singola ragione, ma un insieme di fattori che mi hanno spinto a prendere quella decisione.
Innanzitutto, la sua gelosia ossessiva. Era come se mi volesse rinchiudere in una gabbia dorata, controllando ogni mio movimento, ogni mio pensiero. Non potevo più sopportare di sentirmi costantemente sotto osservazione, di dover giustificare ogni mia azione.
Poi, la sua incapacità di lasciarmi libera. Marcel viveva nel passato, intrappolato nei suoi ricordi, incapace di accettare che io avessi una vita mia. Voleva che fossi la sua musa, la sua compagna di giochi, ma io avevo bisogno di respirare, di esplorare il mondo.
E infine, la sua noia. Marcel era un uomo brillante, certo, ma anche incredibilmente noioso. Passava le giornate a rimuginare sui suoi ricordi, a lamentarsi della vita, a criticare tutto e tutti. Avevo bisogno di leggerezza, di divertimento, di qualcuno che mi facesse ridere.
Insomma, ero stanca di essere la sua prigioniera, la sua musa, la sua confidente. Volevo essere me stessa, libera e indipendente. E così, un giorno, ho preso la mia decisione e sono scappata.
Non è stato facile, certo, ma non mi sono mai pentita. La mia fuga è stata un atto di ribellione, un modo per riprendermi la mia vita. E anche se a volte mi manca Marcel, so che ho fatto la scelta giusta."
- Peccato però che sia finita in quel modo la sua fuga. Fosse rimasta da Marcel sarebbe ancora viva e magari vi sareste sposati.
- Ah, il cavallo... un incidente sfortunato, certo, ma non credo che sarebbe cambiato molto. Anche se fossi stata più attenta, se fossimo rimasti insieme, il nostro rapporto sarebbe comunque finito per logorarsi.
Marcel era un uomo complicato, incapace di vivere nel presente. Non avrei potuto sopportarlo per sempre.
E poi, diciamocelo pure, il matrimonio non era nei miei piani. Ero una donna libera, indipendente, con la voglia di scoprire il mondo. Non volevo rinchiudermi in una casa, a fare la moglie perfetta, a soddisfare i capricci di un uomo.
Certo, a volte mi chiedo come sarebbe andata se... Ma poi mi rendo conto che non ha senso rimpiangere il passato. Ho fatto le mie scelte, ho vissuto la mia vita, e non mi sono mai pentita.
E tu, cosa ne pensi? Credi che avremmo potuto essere felici insieme?
- Ma che dici, Albertine, mi prendi alla sprovvista, ci dovrei pensare, forse sì, ma di sicuro non mi sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello l’idea di regalarti uno Yacht.
- Ah, questa poi, che pazzo questo Marcel, si sarebbe svenato per me, vero?
L'intervista è finita. Albertine mi porge con grazia il dorso della mano, poi con fare deciso apre l'ombrellino da passeggio e prosegue per la sua strada.
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