Autunno Tedesco di Stig Dagerman - L’ipocrisia democratica nella Germania post nazista
E’ immaginabile espiare una colpa nella sofferenza? Si può davvero parlare di colpa collettiva del popolo tedesco al domani della disfatta dell’esercito nazista? Fino a che punto la complicità quotidiana del popolo nei confronti del regime nazista è assimilabile alle colpe individuali di chi deteneva realmente il potere durante la dittatura nazionalsocialista? Questi e altri interrogativi più o meno latenti e per certi versi disturbanti costituiscono la filigrana di questo Autunno Tedesco che solo uno scrittore come Stig Dagerman poteva cogliere e porre impunemente all’attenzione di un pubblico neutro come quello svedese nel 1946. La Svezia durante la seconda guerra mondiale fu infatti un paese neutrale che però consentì alle truppe di Hitler di essere attraversato allo scopo di occupare la confinante Norvegia. Una scelta forse dettata dalla paura di invasione, ma che stride se si ricorda invece che il “fascista” Franco negò all’aviazione tedesca il sorvolo del proprio paese durante i mesi della campagna d’Africa: un atteggiamento che fece infuriare Hitler. Dagerman fu inviato in Germania nell’autunno del 1946, poco più di un anno dopo la disfatta con l’incarico di produrre cronache veritiere. Il suo giornale voleva scandagliare più a fondo la società tedesca che in quei mesi veniva dipinta dalla stampa alleata come troppo collusa con il precedente potere e ancora vicina al nazionalsocialismo.
Il risultato furono alcuni reportage che Dagerman scrisse
sulla base di un soggiorno in Germania che lo portò a visitare le principali
città tedesche, o quel che ne restava, distrutte dai bombardamenti. Dagerman si
propone di avvicinare la società tedesca vivendo il più possibile vicino ai
disperati sopravvissuti. Così entra nelle cantine dove continuano ad abitare
gli scampati, al freddo, con centimetri d’acqua gelida e stagnante sui pavimenti,
con stufe maleodoranti e malsane, con bambini affamati, sporchi, laceri e
malati che non vedono prospettiva alcuna
di un domani che assomiglia ogni giorno sempre più ad un girone infernale. E
tutto ciò in un contesto in cui si svolgevano le prime elezioni democratiche in
Germania anche se della democrazia al popolo tedesco affamato, in quelle
condizioni, non poteva importare granché.
Dagerman ci svela anche alcuni fatti poco noti al pubblico
italiano, come ad esempio i tribunali
del popolo che avevano lo scopo di giudicare i nazisti, ma che in molti casi
non condannarono chi veramente il nazismo aveva sostenuto fino a pochi attimi
prima della fine; oppure le tradotte ferroviarie piene di tedeschi del nord, stipati come sardine, che ricordano
tanto le deportazioni di ebrei, che i tedeschi del sud, bavaresi, avevano
deciso di rinviare alle loro città di origine ormai liberate. Peccato che le
case non esistevano più, ma di questo i bavaresi non se ne preoccuparono, e
questo provocò un risentimento i cui strascichi sono ancora avvertibili
oggigiorno. Città fantasma come Berlino, Essen, Amburgo dovettero sobbarcarsi
il peso di centinaia di migliaia di profughi che provenivano anche dalle terre
dell’est ormai in mano ai sovietici. Il dopoguerra tedesco certamente fu assai più
duro di quello italiano, ma sia i tedeschi che gli italiani preferirono non
affrontare il problema della redenzione della nazione senza il paravento di
anacronistici tabù: i tedeschi scelsero l’arma del silenzio nei confronti delle
giovani generazioni nate dopo la guerra; gli italiani preferirono raccogliersi
dietro un antifascismo di facciata nel quale tutti si ritrovarono, vinti e
vincitori, con il risultato di annacquare il valore dei veri antifascisti che
rischiarono la vita e morirono per la libertà. Ma di questo il libro di Dagerman,
evidentemente, non parla per quanto una riflessione sul dopoguerra italiano, a
partire dai sentimenti della società italiana non fu mai onestamente tentato.
Ma solo Dagerman poteva aprire uno squarcio di tale intensità senza
preoccuparsi di essere strumentalizzato a destra come a sinistra; lui,
anarchico, poteva permettersi di raccontare per filo e per segno quello che i
suoi occhi intercettavano in piena libertà.
Gli scritti di Dagerman non sono dunque scontati, ogni pagina
è foriera di rivelazioni e descrizioni che curiosamente non furono mai
approfondite né dalla stampa alleata né da quella delle ex potenze sconfitte. A
settant’anni da quei tragici eventi Iperborea le propone in lingua italiana. Stig
Dagerman fu uno scrittore di valore e di successo. Morì suicida nel 1954.
Commenti
Posta un commento