Brexit, quale lezione appresa ovvero il fallimento della democrazia diretta

Per dirla all’inglese, qual è la lezione appresa - the lesson learnt - dal referendum sulla Brexit? Alcune considerazioni e interrogativi, imprevedibili alla vigilia, si stanno imponendo con forza. Vediamoli brevemente. 

1.   La democrazia diretta funziona meglio di quella rappresentativa? A giudicare dal pasticciaccio che il risultato ha evidenziato, sembra proprio di no. La Scozia e Londra per il Remain, l’Ulster spaccato in due, e il resto pro Brexit evidenziano un paese letteralmente frantumato. Inoltre la spaccatura non è soltanto geografica, ma generazionale. I giovani per il Remain e i vecchi per la Brexit. Forse il Parlamento britannico avrebbe potuto risolvere il problema diversamente tenendo conto della situazione del paese e proponendo una via d’uscita praticabile.
2.       È quindi da rivalutare positivamente il divieto previsto dalla nostra carta costituzionale di non sottoporre a referendum materie regolate da trattati internazionali. In questi casi l’esito del referendum va oltre l’interesse squisitamente nazionale, ma rimette inevitabilmente in discussione le relazioni con altri stati esteri con ripercussioni che possono riguardare addirittura la sicurezza nazionale.

3.       Ne consegue che chi invoca anche nel nostro paese di sottoporre il medesimo quesito al giudizio diretto, oltre a volere una cosa costituzionalmente non prevista dal nostro ordinamento, non si rende conto delle implicazioni complessive che un eventuale referendum pro o contro Europa, pro o contro Euro nel nostro caso, avrebbe sugli equilibri interni e sulle relazioni internazionali.

4.       Dunque la Brexit sta producendo importanti effetti collaterali. Primo fra tutti una spinta verso la disgregazione dell’unità del paese: un paese che aveva appena superato il rischio di fuoriuscita dalla Scozia, ma che l’esito del referendum sta riproponendo. Si parla di una Great Britain a due velocità. Londra e le province pro remain potrebbero negoziare separatamente la loro permanenza nell’Unione europea?

5.       L’esito della Brexit produce una inevitabile ondata imitatrice in altri paesi. È possibile che questa situazione possa alimentare una situazione di incertezza che come primo effetto si ripercuoterebbe sulla finanza. Se anche l’Olanda, paese Euro, si apprestasse a ricalcare le orme britanniche con un referendum Nexit, le crisi speculative sull’Euro non si farebbero attendere.

6.       Cosa succederà ai risparmiatori italiani in uno scenario di crisi dell’Euro al quale si accompagnerebbe di sicuro la crisi del debito sovrano non è un dato attualmente prevedibile. Ma le previsioni non sono ottimistiche.

7.       L’Unione Europea ha subito uno shock dal quale difficilmente potrà riprendersi in poco tempo. L’immediato rilancio dell’Unione resta un pio desiderio (wishful thinking in inglese). Meglio non concedere molto alla retorica. I paesi dell’Unione sono da oggi tutti molto più soli di ieri. Se questo porterà a più o meno nazionalismo nelle politiche dei paesi membri lo potremo verificare fra breve.

Se questo è per sommi capi lo scenario, come si deve reagire? Occorrerà procedere con molta calma e valutare bene a partire da lunedì le prossime mosse a livello europeo e a livello dei singoli stati membri. Bene ha detto Merkel sull’importanza di un atteggiamento non antibritannico. Alla  Gran Bretagna la prima mossa, vedremo se e quando invierà la lettera di rinuncia alla UE a norma dell’art 50 del trattato di Lisbona.

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